Orvu di l’occhi

(Articolo pubblicato sul n° 263 di  “SIKANIA” Dicembre 2008)


“Orvu di l’occhi!” (che io possa accecare!), questo è l’anatema che i nostri progenitori usavano per attestare un giuramento indissolubile o una verità inoppugnabile.

L’espressione dialettale affonda le sue radici nella mitologia dell’antica Sicilia, antecedente all’influenza della religione ellenica, e più preci­samente ai Palici, due gemelli, figli del dio siculo Adranos, ai quali era dedicato un tempio tra Mineo e Palagonia, ed i cui ruderi, oggi scompar­si, esistevano fino al secolo XVI.

Il tempio, così come attestato da Emanuele Ciaceri : “ […] Per antichità e venerazione era fra i più rinomati dell’isola in quanto sorgeva accan­to ai famosi crateri, che prendevano nome appunto dagli dei Palici, corrispondenti al cosid­detto lago di Naftia dei giorni nostri. Diodoro (XI, 89) […], ci narra delle cose miracolose di quei cra­teri. Li paragona ad una grande caldaia piena di acqua bollente che con violenza vien fuori e si eleva in alto accompagnata da profondi boati e da forte odore di zolfo. E ricorda la religiosità del luogo. Vi si prestavano i santi giuramenti e gli spergiuri erano colpiti immantinente dalla divina vendetta, tanto che alcuni si vedevano uscir cie-

chi dal tempio; e vi si ricorreva come a supremo e sacro tribunale per disciogliere i più intrigati litigi”.

Lo stesso autore, agli inizi del XX secolo, nello stesso testo, circa il potere “miracoloso” dell’ac-qua, connesso alla vista, scrive: “Nell’antichità, e in genere in tempi nei quali il popolo vive in uno stato primitivo di civiltà, devono essere frequenti i casi in cui si attribuisce alle acque sacre d’una fonte simile virtù miracolosa. Sotto l’influsso della nuova religione ciò avviene ancora oggi ai nostri giorni in molti paesi, ove predomina la vita semplice dei pastori e degli agricoltori. […] E in Sicilia, come altrove, è naturale che il popolo con­tinui a riferire l’efficacia delle acque sulfuree al potere miracoloso di questo o di quel santo”.

Il potere di protezione della vista, ossia della “luce degli occhi”, nella fede cattolica è transitato nella santa il cui stesso nome indica la luce: Lucia!

Lucia è la santa a cui si rivolgono coloro i quali hanno problemi agli occhi ed è la protettrice dei ciechi, degli oculisti e degli elettricisti, professio­nisti della luce, anche se non nella sua accezione spirituale. Un potere che spinse finanche gli spe­ziali medievali a preparare un collirio che non poteva che chiamarsi “Santa Lucia”.

Ma come è ben noto non esiste solo la “vista di l’occhi”, ma c’è la ben nota vista dell’amore in grado di operare miracoli. E così, come nel rac­conto che segue (documentato a Roccapalumba) una donna, da tutti ritenuta brutta, diventa im­provvisamente bella per il giovane che la guarda con gli occhi dell’amore.


Betta pilusa

‘Nt’on paiseddu viveva ‘na picciotta di nomu
Betta.
Già di nica nica, pi curpa di lu pilu c’aveva
a tutti banni, la chiamaru Betta pilusa.
Quannu passava ‘nna li strati tutti si giravanu
e dicevano: “Talè, sta passannu Betta
pilusa!”, ma di quantu era brutta nuddu ci
scanciava ‘na parola.
Sulu pi so patri era bedda comu u suli e la
chiamava “Bittuzza mia”.
Betta era ladia, però era ‘na brava fimmina
di casa.
Quannu sfurnava lu pani lu sciauru si sinteva
‘nta tuttu lu vicinatu.
Un jornu passava di ddà un picciottu furisteru,
‘ntisi lu sciauru di lu pani appena sfurnatu,
ccì trasì dintra e s’innamurà d’idda.
Dopu quarchi misi si maritaru e fu accussì
ca Betta pilusa addivintà Betta filici.

Betta pelosa

In un paesino viveva una ragazza di nome Betta. Già da piccolina, per colpa dei peli che aveva do­vunque, la chiamavano Betta pelosa. Quando passava per le strade tutti si giravano e dicevano: “Guarda, sta passando Betta pelosa!”, ma era così brutta che nessuno le rivolgeva la parola. Solo per suo padre era bella come il sole, e la chiamava “Bettina mia”. Betta era brutta, però era una brava donna di casa. Quando sfornava il pane l’odore si sentiva in tutto il vicinato. Un giorno passava da lì un ragaz­zo forestiero, sentì l’odore del pane appena sforna­to, entrò nella sua casa e si innamorò di lei. Dopo alcuni mesi si sposarono e fu così che Betta pelosa divenne Betta felice. (testo e foto: sara favarò)