GIUFA'
il semplice


Quando ero piccola a casa mia esisteva già la «scatola parlante», come alcuni anziani chiamavano il televisore, ma il suo uso era molto differente da quello che se ne fa ai giorni nostri. La TV si accendeva solo alla sera. I ricordi della prima infanzia sono legati alla mia piccola casa, che la sera pareva trasformasi in una capiente sala cinematografica. Lè si radunavano i vicini che, trepidanti, aspettavano l’apparizione della «signorina buonasera » che annunciava un pezzo d’opera o, in alternativa, un interminabile romanzo a puntate. Ma solo di sera! Il pomeriggio, compiti permettendo, era destinato al divertimento. Allora vivevo in un paesino e noi bambini, a differenza di quelli delle grandi città, non dovevamo seguire questo o quel corso pomeridiano di danza o di equitazione o di chissà quale attività extrascolastica «alternativa» (alternativa a cosa? alla spensieratezza infantile?), e cosè tempo per giocare ne avevamo veramente tanto. I pomeriggi trascorrevano tra i giochi per strada e i cunti. In tutte le case c’era sempre un nonno, una nonna o una zia disposti a raccontarci le imprevedibili gesta di Giufà, il mitico personaggio di origine araba che, pur se con nomi e atteggiamenti diversi, è di casa in tutti paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Parenti che a loro volta avevano appreso i racconti dai loro avi, quando l’abitudine del cunto era prassi comune, e non solo nelle ore pomeridiane ma anche in quelle serali, in case che non conoscevano ancora né radio né televisione. Da grande seppi che Giufà diventa in arabo Giùha, in ebraico Giokà, in Egitto Goha, Jeha in Algeria e in Marocco, Nasreddin Hodja o Nasreddin Hoca in Turchia, a Malta è Gihane, in Bulgaria Hitar Petar, Nastra-tin Hogea in Romania, Nastradin in Grecia ed ex Iugoslavia, in Sardegna è Giaffah, Giucca in Toscana, Turlulè in Trentino ecc. Giuseppe Pitrè, nel 1875 cosè scriveva: Il nome di Giufà si modifica e trasforma da paese a paese; in Trapani è Giucà, in Piana de’ Greci, Palazzo Adriano e nelle altre colonie albanesi di Sicilia, GiuZà, in Acri (Calabria citer.) Giuvali; in Toscana, Roma e Marche, Giucca, ecc. Il nome di Giufà coincide con quello d’una tribù araba, ed il personaggio ha riscontri in Sdirrameddu e in Maju longu di Polizzi, nel Loccu di li passuli e ficu di Cerda, e in Martinu di Palermo (personificazioni fantastiche le cui scempiaggini si attribuiscono anche a Giufà), in Trianniscia di Terra d’Otranto, nel Mato di Venezia, in Simonëtt del Piemonte e in Bertoldino e Cacasenno. Il Giufà della mia infanzia era quasi sempre un irresponsabile combina guai che, di tanto in tanto, veniva colto da insolita furbizia, dovuta più alla casualità degli eventi che a una caratterista intrinseca. Tranne a scoprire poi, in età adulta, dal racconto di un contadino siciliano, un Giufà furbo che adduvatu (alle dipendenze) di un padrone molto scorretto, e per di più prete, si fa furbo per riscattare i torti subiti dai suoi fratelli. O anche un Giufà talvolta dotato di imprevedibili guizzi di genialità. A tal proposito alcuni racconti sono molto simili nella tradizione siciliana e in quella araba. Tipico esempio è il racconto, documentato a Trapani e inserito nella raccolta del Pitrè, intitolato Giucà e chiddu di la scummisa, che nella cultura araba trova riscontro in Giufà e il sultano. I fatti narrati sono pressocché identici, ma con una differenza sostanziale: nel racconto trapanese Giufà vendica il maltorto subito da un amico, dipendente di un padrone che si riteneva essere troppo scaltro (cosè come nei racconti del contadino di cui sopra), nella narrazione araba è lo stesso Giufà che riesce a vendicarsi per un torto inflittogli dal sultano. Un personaggio che, per le sue poliedriche caratteristiche, di sicuro affascinava e ancora oggi affascina. Il grande studioso di tradizioni popolari Giuseppe Pitrè si occupò del nostro personaggio a più riprese. La prima consistente raccolta di storie siciliane di Giufà (ben 17) si trova nel terzo volume di Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani (opera in quattro volumi), edito nel 1875. Tale raccolta è stata inserita nel sesto volume della monumentale opera dello stesso autore, Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, edita a Palermo tra il 1870 e il 1913. Il Pitrè torna a occuparsi di storie siciliane di Giufà in un altro testo: Fiabe e leggende popolari siciliane, un volume unico dove, dopo tredici anni dalla precedente raccolta di fiabe e leggende popolari, il Pitrè aggiunge altri 158 racconti tradizionali, e dove anche il nostro Giufà trova nuovo spazio. Queste seconde leggende di Giufà sono meno conosciute ai più, probabilmente proprio perché inserite in una raccolta differente. Anche le nuove fiabe e leggende trovarono posto nella Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, nel volume XVIII. Dal Pitrè in poi molti autori si sono occupati di Giufà e, spesse volte, non riportando nuove favole, ma trascrivendo quelle già raccolte dal Pitrè. Ma se oggi, in qualità di studiosa, mi piace indagare sulla storia, sulle fonti, sull’originalità o meno di un racconto, sulla tecnica del cuntu, non era cosè quando ero bambina. Allora a me, come a miei coetanei, non interessava sapere chi fosse veramente Giufà, da dove provenisse o in quali testi fossero contenute le sue gesta. Per noi bambini era bello ascoltare i racconti dalla voce dei grandi: uno svago cosè appassionante da riuscire a strapparci da qualsiasi gioco. Com’era bello stare seduti intorno a una brace accesa, quando fuori pioveva e c’era freddo, cosè com’era altrettanto entusiasmante sedersi, d’estate sui gradini di casa ad ascoltare un anziano che, magari intrecciando panieri di canne, ci raccontava alcune storie «dei suoi tempi», o delle favole che ci lasciavano con il fiato sospeso. Il narratore, se desiderava ricevere la giusta attenzione, doveva essere coinvolgente, soprattutto nell’intonazione della voce, nella cadenza, nelle pause. Quella del cuntu era una vera e propria arte recitativa che, senza avere bisogno di grandi registi o di scuole di teatro, catturava il pubblico bambino con gesti e modulazioni vocali. Di sicuro la «parola scritta», per i racconti popolari, non può avere la carica emotiva, la magia, il sogno di quella «parlata» o anche «cantata», ma recuperare i cunti della tradizione orale e traslarli in scrittura è urgente per strapparli all’oblio della memoria. è anche per questo che, diventata grande, ho voluto trasfondere il ricordo di quei magici momenti scrivendo e cantando alcune favole della mia infanzia. Questa raccolta intende essere un omaggio al ricordo bambino, un riconiscimento alla memoria popolare e anche alla capacità della cultura popolare di rigenerarsi e riappropriarsi del proprio messaggio originario nei territori più diversi, geograficamente lontani e vicini nell’assimilazione di questo personaggio simbolo. Le storie inserite nella sezione Giufaniàte, riferitemi da anziani siciliani, narrano di fatti realmente accaduti e in cui il protagonista assume nella narrazione popolare il nome di Giufà per le peculiari ca- ratteristiche del personaggio principale. Non è raro, ancora oggi, sentire dire fici na giufaniàta, per indicare qualcuno che ha commesso un atto irresponsabile. Altre storie si riferiscono a «barzellette», ossia racconti che non fanno riferimento a un fatto reale ma a un fatto inventato e che, per le tipicità del personaggio principale, vengono attribuite a Giufà. Questa mia raccolta è un dono a tutti i bambini e anche a tutte quelle persone che, pur se avanti negli anni, vogliono continuare a stupirsi, ridere, scherzare, ascoltare, raccontare.