TERRAVECCHIA DI VICARI


Prefazione
di Francesco Carbone
Centro Studi, Ricerca e Documentazione "Godranopoli"
Sara Favarò o della storia locale transitata

Questo nuovo lavoro di Sara Favarò, Terra vecchia di Vicari, rivela una particolare attitudine della stessa autrice ad usare la "prosa", il racconto, la descrizione, il dialogo, anziché il verso, la poesia in sé e quella dei suoi canti tipica della sua vocazione letteraria.
"Terra vecchia" è infatti il racconto di una giornata trascorsa insieme ad un gruppo di ragazzi e di insegnanti di una scuola del luogo i quali - accompagnati da quattro giovani conoscitori dei beni culturali e ambientali locali - visitano il paese, soffermandosi con maggiore interesse nel quartiere storicamente più significativo dell'abitato.
Il nome del quartiere, "Terra vecchia", da il titolo, appunto, a questo testo della Favarò, dove un'originale andamento narrativo, strutturato a più voci dialoganti tra loro e relazionato alle osservazioni palesi della scrittrice, mobilita l'attenzione del lettore su diversi piani di interesse: quello della parola che evoca e descrive e quello delle immagini che essa genera nelle visioni mentali di chi legge.
Infatti, il gruppo che percorre le strade del paese, riceve continue informazioni sugli assetti urbanistici, sui valori artistici, ambientali e storici del luogo; informazioni fornite di volta in volta dai quattro giovani accompagnatori: Mario Anzalone, Epifanio Barbaccia, Maria Concetta Fede, Rosa Anna Sanfilippo, rutti validi artisti di Vicari che si sono occupati e si occupano, con appassionata e intelligente competenza, dei beni artistici e storici del loro paese, scrivendone diffusamente, per esempio, nelle loro tesi di diploma. Specialmente Epifanio Barbaccia, chiamato spesso a restaurare, con indiscussa perizia, statue, quadri ed altri oggetti sacri delle Chiese locali
Questo insieme di elementi che costruiscono la sciolta narrazione della Favarò, unificandone la tenuta dello stile negli incroci delle informazioni, dei commenti, delle valutazioni che i riferimenti alla storia locale suscitano nei ragazzi del gruppo; questo utile e diretto evocare il senso del tempo nello spazio presente e vissuto del luogo, al cospetto visivo e tattile dei fatti e delle "cose" della storia, dentro le manifestazioni tangibili dei suoi eventi, tutto ciò costituisce il pregio maggiore da attribuire alla Favarò, anche per il modo di aver mediato le conoscenze storico-artistiche dei quattro citati conduttori del gruppo i quali - riprendendole dalle loro tesi - le hanno "oralizzate" e comunicate con estrema disinvoltura ai componenti del gruppo. Un aspetto, questo, che la Favarò ha utilizzato, nel contesto della sua scrittura, quale struttura portante non tanto del saggio, ma del suo "racconto" storico, avvalendosi anche dell'apporto di notevoli storici che si sono occupati di Vicari e che lei ha proficuamente studiato.
Viuzze strette, labirintiche di derivazione medievale; cortili, bagli e altri sistemi urbanistici di ascendenza araba; Chiese e costruzioni abitative secolari; toponimi e parole di lontane etimologie, costumi, tradizioni sacre e profane non vìvono o rivivono nella prosa della Favarò come in un confuso calderone, ma grazie ad uno stupefacente flusso, scorrevole e partecipato, di memorie della vita passata riferita a un locus, il proprio e quello della comunità, che vuole trasmettere al presente e al bisogno dei suoi rinnovamenti, la continuità di taluni valori non investiti e cancellati dai guasti dell'oblio.
Questo fornito da Sara Favarò, infine, è un singolare esempio di storia locale transitata con l'immaginazione del poeta e l'impegno dell'autentica scrittrice.